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giovedì 8 novembre 2018

Recensione di "Figlie di Fiamma" di Irene Malfatti

Immagine presa da qui
Sinossi (da Amazon): A volte per completarsi occorre perdere un pezzo di sé.
È ciò che scopre Minerva mentre contempla il corpo aggraziato e senza vita della madre al volante della sua auto distrutta.
Attraverso la voce di una donna brillante, seducente e fin troppo padrona di sé, Irene Malfatti ci fa da guida, con intelligente e smaliziata ironia, lungo il percorso dentro se stesse, a caccia delle catene che abbiamo forgiato per imprigionarci, per spezzarle una a una e riemergere all’aria e alla luce.
Abbattendo uno dopo l’altro tabù e luoghi comuni, l’autrice ci mette con disarmante schiettezza di fronte a un universo femminile che probabilmente conosciamo ma che raramente riconosciamo.
Un romanzo che vi commuoverà, vi strapperà sorrisi e risate di cuore, vi regalerà insospettate conferme e vi dimostrerà che per essere donna bisogna “uccidere l’Angelo del Focolare”.

Ho comprato d'impulso il libro di Irene perché ho "scoperto" lei per caso su un gruppo Facebook. Pur non avendo mai interagito direttamente con lei sono rimasta in un certo senso affascinata dal suo modo di porsi e ho deciso che volevo vedere come scrivesse.

Figlie di Fiamma mi ha tenuto compagnia in un paio di pomeriggi particolarmente noiosi ed è stato non tanto una piacevole sorpresa, quanto il piacere di una conferma.
Alla morte della madre Minerva si trova quasi costretta ad affrontare un problema che la accompagna da sempre: non ha mai raggiunto un orgasmo. La ricerca di Minerva non conduce alla soluzione del problema quanto all'individuazione del problema stesso, e il finale rimane parzialmente aperto.
Irene affronta l'argomento "sesso" senza falsi pudori, senza malizie, con un tono diretto, quasi pratico, che è un piacere leggere. Eppure il romanzo è come pervaso da una traccia di poesia, è scritto in una lingua diretta ma quasi magica, che rende facile sia leggere, sia capire che siamo tutte un po' Minerva. Che a Fiamma forse non piaceremmo, che anche noi dobbiamo trovare il coraggio di "uccidere l'Angelo del Focolare" per essere davvero noi stesse. Che non basta liberarsi dalle aspettative degli altri su di noi, ma dobbiamo mettere da parte anche le nostre.

C'è qualcosa di irritante nel pensarsi persone non comuni e sottostare comunque a dinamiche comunissime.

Nel mentre che provo a lavorare su me stessa per capire come fare a smettere di pensarmi e volermi perfetta, spero di leggere altro di Irene. 


lunedì 3 settembre 2018

Recensione: "Il cuore quantistico" di Cristina Vitagliano

Immagine presa dal Web
SINOSSI (da goodreads): William Levante, poeta alle prese con un cervello fiaccato dalla ricerca della perfezione, e sua moglie Eden, pasticcera dotata di un cuore molto speciale, "unico nel genere dei cuori", vivono a Hedgehog, il piccolo borgo che fa da sfondo a questa fiaba nera e surreale. Tra orologi, meccanica quantistica, poesia e atmosfere dolcemente macabre, questo romanzo breve trasporta verso un mondo senza tempo dipingendo una storia d'amore troppo insolita per essere reale...

Di Cristina avevo recensito, ancora su Leggere a Colori, i Racconti fiabeschi del macabro e dell'assurdo, che avevo letteralmente adorato.  Mi sono accosta a questo romanzo con grandissima curiosità e aspettative abbastanza elevate. 
Il cuore quantistico è un romanzo che se venisse scritto da qualsiasi altra persona risulterebbe, in certi dettagli, splatter. Senza ombra di dubbio. 
Si tratta di un racconto fantastico, strano, affascinante, in certi passaggi macabro e grottesco: è proprio in questi passaggi che la delicatezza e la raffinatezza della penna di Cristina riescono a evitare l'effetto splatter e a mantenere il tono del racconto sul piano della magia. 
La storia narrata è particolare e ma non molto articolata: a colpire sono la fantasia dell'autrice, la sua immensa cultura letteraria (e non solo) e la sua straordinaria maestria nel creare ambienti. 
La vicenda si svolge a Hedgehog, un piccolo borgo che pagina dopo pagina prende letteralmente vita sotto i nostri occhi. Ci vengono forniti pochi dettagli caratterizzanti, ma la descrizione di alcuni ambienti e soprattutto delle persone che lo abitano ci fanno sentire in un film di Tim Burton. O forse in Alice nel paese delle meraviglie? O in Hugo Cabret?

Il finale è leggermente scontato ma è l'unico possibile, e il dolce e il macabro si abbracciano in una poesia che, come l'amore vero, non conosce fine. 

E' stato abbastanza scontato, per me, operare un confronto tra i Racconti fiabeschi e Il cuore quantistico: per quanto Il cuore mi sia piaciuto molto, mi sembra che il genere letterario del racconto sia quello più adatto a Cristina, perché riesce a creare un "tutto" più completo. 

giovedì 8 marzo 2018

Sentimi - Tea Ranno

Centu uci 'n cuntu

Solitamente apro le recensioni - quando riesco a farne una - con la sinossi del romanzo presa da una libreria online, affinché chi mi legge possa farmi un'idea del romanzo di cui sto parlando. 

Pensare di aprire così anche le mie - poche - parole su Sentimi mi provocava una leggera sensazione di disagio, come se ci fosse un qualcosa di sbagliato, di svilente in quello che mi apprestavo a fare. Ciononostante, ho cercato lo stesso un paio di sinossi online e... no. 

No perché sono fredde, impersonali, sintetiche, legate a una storia, come se questa storia fosse importante nel suo essere tale, nella sua concretezza. 
E qui non c'è una trama concreta, non c'è una storia più importante delle altre, non c'è - o meglio, c'è ma non è rilevante - un fil rouge da seguire per capire ciò che Tea ci racconta. 

L'unica cosa concreta qui, e scusate se è poco, è la sofferenza delle donne. 
La violenza di cui sono vittime. Fisica e non, visibile e non.
Cento voci e un canto. 
Sono cento le anime di donne che si radunano attorno a Tea (ok, alla voce narrante...) per raccontarle la loro storia. Alcune di queste anime le conosciamo e le amiamo già, altre vorremmo abbracciarle appena cominciano a parlare, altre vorremmo spingerle lontane lontanissime appena capiamo di che pasta sono fatte, appena capiamo chi sono, e di cosa sono capaci. 

E' una lettura dolorosa, a tratti insostenibile, la violenza e il dolore ti portano istintivamente ad allontanare gli occhi dalla parola scritta, ma non è girandoci che troviamo la soluzione. 
Non possiamo scappare alla storia raccontata da quelle cento anime. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte al dolore che tante sperimentano ogni giorno nella loro vita, sia esso causato da un uomo o da un'altra donna. 

Il male è presente, è forte, è protagonista. Il dolore è percepibile sulla pelle di noi che leggiamo. Si srotola, una parola dopo l'altra, una voce dopo l'altra, e vediamo quanto può essere lungo il filo di sofferenza che avvolge la vita di certe donne. 

Quest'ultima opera di Tea Ranno è - più delle altre, forse - pura poesia ed evocatività, oltre che amore. Amore verso il prossimo, verso chi soffre, ma soprattutto verso la poesia stessa, che sola può dar voce a quelle cento anime. 

Fatevi un regalo per l' marzo: leggete questo libro, e vogliatevi bene. 
E io, già che ci sono, ne voglio anche a Tea. 

domenica 1 ottobre 2017

Recensione di "Le otto montagne" di Paolo Cognetti

SINOSSI (da Amazon): Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche.
Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.


Di Cognetti avevo sentito tanto parlare, anche prima che vincesse il premio strega.
Non avevo però mai sentito il desiderio di leggere niente di suo, finché un suo articolo letto non so dove mi ha convinta, e ho deciso di cominciare proprio da Le otto montagne. 
Le otto montagne è un libro che non so definire. Non è, a parer mio, né bello né brutto, per quando odi questi giudizi così netti. Né appassionante né noioso, né lento né veloce...
E' un romanzo profondamente descrittivo ed evocativo. La vita di una montagna che non c'è più (o che pensiamo non ci sia più?) è raccontata con toni così precisi e insieme delicati che sembra di sentire le voci dei pastori al lavoro e il soffio del vento sui pascoli.
Le otto montagne racconta - a tratti - la vita di Pietro e Bruno: è la storia di due amici che, salvo una breve parentesi, si frequentano più o meno tutta la vita, e ciascuno di loro è testimone dei successi (pochi) e delle sconfitte (molte) dall'altro.

Una sorta di sensazione di incompletezza mi ha accompagnata durante tutta la lettura: tale sensazione si è acutizzata dopo essere arrivata al finale, che ho trovato leggermente scontato. Il fatto che fosse l'unico possibile non ha attenuato questa percezione.
Bruno non matura, non cresce, non elabora e Pietro lo fa solo in parte, in maniera a mio avviso non completa, non del tutto soddisfacente. Manca qualcosa alla sua vita, affinché noi possiamo capirla. Così come, a parer mio, manca qualcosa al libro.
Peccato!

sabato 30 settembre 2017

A proposito di... "Seconda generazione", di Howard Fast


Sinossi (da e/o): È qualcosa di più che una vaga sensazione di irrequietezza quella che agita la giovane Barbara Lavette nella caldissima estate di San Francisco del 1934. Sua madre Jean, erede dell’impero finanziario dei Seldon, desidera per lei un destino all’altezza del nome che porta mentre il patrigno, uno dei più ricchi armatori della East-Coast, è disposto a pagare i migliori college di New York pur di tenere alla larga quella ragazzina e le sue sciocche idee di equità sociale. Ma Barbara non può dimenticare che nelle sue vene scorre il sangue dei Lavette. Lo stesso di suo padre, Danny, che era stato uno degli uomini più ricchi della California prima di liberarsi del suo patrimonio per inseguire una vita più semplice e autentica. Quando sul fronte del porto scoppiano gli scioperi che insanguineranno la città, Barbara capisce che non può tollerare la repressione ordinata dal patrigno e che è venuto per lei il tempo di cercare il suo posto nel mondo. Lo trova a Parigi, in qualità di corrispondente per una raffinata rivista newyorchese. E fra le braccia di Marcel, giornalista di Le Monde. Ma presto la Storia travolge ogni cosa. La guerra civile spagnola le porta via il suo pri- mo grande amore, ferito durante una spedizione al seguito delle Brigate Internazionali. Ed è forse per dimenticarlo che poco dopo Barbara, investita di una missione segreta, si reca nella Berlino nazista dove si decidono le sorti dell’Europa. Nel frattempo, a San Francisco, suo fratello Tom scopre nel patrigno un interlocutore molto interessato alle sue idee sul futuro della fortuna dei Seldon e comincia a ordire una trama per tagliare Barbara fuori dall’impero economico di famiglia...

Ho letto Seconda generazione di Howard Fast un po' per caso, dopo averlo preso dalla libreria di mia mamma. Il primo volume della saga, Il vento di San Francisco, mi era piaciuto ma non in maniera così estrema. Qualcosa, nello sviluppo dei personaggi, nello sfondo socio-politico, non mi aveva particolarmente convinta.
O forse la mia pressoché completa ignoranza della storia e della politica americane mi avevano reso il romanzo leggermente estraneo.

Mi sono quindi avvicinata a Seconda generazione con un po' di scetticismo, ma mi sono dovuta ricredere.
Si tratta di un romanzo semplicemente bellissimo. In primo piano non abbiamo più Daniel Lavette, bensì sua figlia Barbara: un personaggio complesso e ricco di sfaccettature, che non esista a vivere a pieno la sua vita, cercando di scrollarsi addosso l'etichetta di "figlia di ricchi"; senza però perdere mai la consapevolezza della sua identità, del suo attaccamento alla famiglia.
Barbara lascia San Francisco e va a vivere prima a Parigi, per poi ritrovarsi quasi suo malgrado nella Germania nazista prima e nei paesi arabi come corrispondente di guerra. Il bisogno di tornare a casa sarà però sempre forte: questo, insieme alla perdita di un amore e all'essersi ritrovata faccia a faccia con la guerra, la porteranno a tornare a San Francisco, per restare.

Dan Lavette è invecchiato, è maturato: chi se ne è innamorata leggendo Il vento di San Francisco non può non amare questo Dan più grigio ma più adulto, che attraverserà un lutto importante e arriverà a capire i limiti di alcune sue scelte. Straordinaria la figura del suo terzo figlio Joseph, avuto da May Ling: è una perfetta mescolanza tra la sensibilità e la dolcezza della madre e la determinazione del padre.

Anche Jean Seldon, la prima moglie di Dan, ritorna in scena: si tratta di un personaggio che nel primo volume avevo molto amato, e che mi era parso fosse un po' penalizzato dall'autore. Qui dà il meglio di sé, e mi sono ripresa completamente dalla delusione.

E' già uscito il terzo volume della saga, e io non vedo l'ora di tornare in Italia per appropriarmene!

venerdì 29 settembre 2017

Recensione di "Il rumore del tramonto" di Chiara Brambilla

SINOSSI (da Amazon): Una lettera che unisce passato e presente.
La storia di Micol.
Un viaggio alla scoperta di quello che c'è in ognuno di noi.
Micol è una ragazza che non si fa coinvolgere dalla vita, vive come una spettatrice, senza diventarne mai protagonista.
Improvvisamente Sebastiano, il suo adorato nonno muore, e questo lutto la fa sprofondare in una cupa malinconia.
Ma ecco che suo nonno, che bene la conosceva e comprendeva la sua paura di vivere, le lancia una sfida.
Attraverso una lettere scritta pochi giorni prima di morire le invia degli indizi e le lascia una misteriosa chiave.
Che porta aprirà quella chiave?
E così Micol con suo fratello Alberto e sua sorella Carlotta inizia un viaggio alla scoperta della Maremma e di Pitigliano, scoprendo un passato doloroso che ha visto protagonista suo nonno durante la seconda guerra mondiale.
Chi è la misteriosa donna che torna dal passato e che conosceva Sebastiano?
Un viaggio che la farà crescere, che la farà innamorare, ma soprattutto che le insegnerà a credere sempre nella vita.

Capita, che mentre ci si trova nel bel mezzo di una lettura impegnativa (La pioggia deve cadere, di Karl Ove Knausgård), ci si lasci attirare da qualcosa di più semplice, più leggero, per trascorrere una giornata d'evasione, di relax. 
Ho scoperto l'esistenza de Il rumore del tramonto per caso, dalla pagina Facebook di un'amica che mi ha prontamente detto che forse non era il libro per me. 

In parte, effettivamente, non lo è. È un'opera prima e si vede. Al di là di alcuni grossolani errori che sono da attribuire ad Amazon che ha curato l'edizione finale, ci sono alcune imperfezioni grammaticali che andrebbero a mio avviso riviste prima della stesura di un nuovo romanzo. 
La trama è indubbiamente originale e appassionante: niente di quanto raccontato mi ha dato l'impressione di essere stato già visto o già letto.
Il rumore del tramonto è una sorta di romanzo di formazione: quella della protagonista Micol, che si vede quasi "costretta" dal nonno a prendere in mano la sua vita e a seguire, forse per la prima volta, la sua volontà. 
Il romanzo tratta anche della formazione - nel senso di crescita - di alcuni rapporti: quello di Micol coi suoi fratelli, con la madre, e con il suo nuovo fidanzato.
Nella trama e nell'introspezione psicologia dei personaggi non mancano le ingenuità: sarebbe bello se l'autrice si sforzasse, nel prossimo romanzo, di "mostrarci" maggiormente le emozioni e i sentimenti dei personaggi, senza sentire il bisogno di descriverceli. 


Il finale rimane - com'è giusto che sia - aperto: Micol deve ancora crescere, capire cosa vuole dalla vita, amare sé stessa prima di poter amare qualcun altro. 

domenica 2 aprile 2017

Recensione di "Demelza" di Winston Graham

Sinossi (da Amazon.it): Cornovaglia, 1788-1790. Le nozze tra Ross, gentiluomo dal carattere forte, avverso alle convezioni sociali, e Demelza, bella, brillante, ma figlia di un povero minatore, ha scandalizzato l’alta società locale, che non approva il matrimonio di un nobile con una plebea. E così Demelza, pur facendo il possibile per assumere le maniere di una signora raffinata, fatica a conciliare il mondo da cui proviene con quello cui ora appartiene, e si sente umiliata dai modi altezzosi di chi la circonda. Questo non le impedisce però di stare al fianco di Ross, che si trova ad affrontare la grave crisi economica in cui versa il distretto: l’industria del rame è infatti sull’orlo del collasso a causa di banchieri senza scrupoli, come lo spietato George Warleggan. Mentre dalla Francia soffiano i venti della rivoluzione e il malcontento dei minatori, ridotti alla fame, sembra pronto a esplodere, Ross decide di sfidare i potenti nel tentativo di riportare giustizia e prosperità nella terra che ama, nonostante il rischio di perdere tutto ciò che ha costruito.

Demelza, il secondo volume de La saga dei Poldark, è uscito il 2 febbraio. Ho sempre rimandato il momento della lettura, perché sapevo che poi non sarei riuscita a staccarmene. Grazie :) a un raffreddore ho avuto la possibilità di dedicare una giornata intera a questo libro. Subito dopo, ho acquistato su Amazon Prime Deutschland la prima stagione della serie realizzata dalla BBC e... ho avuto un intero weekend dedicato ai Poldark. A proposito, se qualcuno potesse consigliarmi un modo legale per vedere la seconda stagione, è il benvenuto.


Demelza è quasi completamente incentrato sul personaggio di Demelza, giovane moglie di Ross.
Si tratta di un personaggio che continua a non deludere, come non delude Ross. Dal quale ci aspetteremmo forse di più, almeno nei confronti di Demelza, ma è questa parziale insicurezza a renderlo così vero, così uomo, così affascinante.
Il rapporto tra Ross e Demelza è cresciuto, con la nascita della piccola Julia: non è una relazione perfetta, è nata forse per caso, ma nelle loro battute e nei loro abbracci respiriamo l'amore vero, quello della quiete domestica.
Il finale tragico è leggermente scontato, tuttavia non disturba il piacere della lettura: ho chiuso il libro con la certezza che questi personaggi ci regaleranno ancora tantissime emozioni. Così come ce le regalerà il paesaggio della Cornovaglia, che non è solo sfondo delle gioie e dei dolori dei personaggi.

Attualmente non è dato sapere quando Sonzogno pubblicherà il terzo volume della saga dei Poldark. Penso che questa volta non resisterò, e mi porterò avanti leggendo i prossimi volumi in tedesco :)