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sabato 14 maggio 2016

Recensione di "Più alto del mare" di Francesca Melandri

SINOSSI (da Amazon): “Potevano i visitatori di un carcere speciale essere accolti dalla bellezza del creato? Sì, potevano. E questo era inganno, crudeltà, stortura.”. Asinara, fine anni Settanta. C’è la guerra, in Italia. È tempo di regime duro, tolleranza zero, e l’istituto di massima sicurezza dell’Isola ne è il luogo simbolo. Luisa non lo sa e quando sale sulla nave per far visita a un marito pluriomicida è agitata, sì, ma solo perché non ha mai visto il mare. Paolo invece ne sa fin troppo e, quando torna sull’Isola, quel profumo salmastro gli riporta alla mente le estati al mare con il figlio piccolo. Molto prima che l’orrore della lotta politica irrompesse nelle loro vite. Ma c’è una cosa che Luisa e Paolo hanno in comune: sono soli nel dolore, in un Paese che non può permettersi pietà pubblica per gente come loro. Bloccati sul posto dal maestrale, accettano l’ospitalità di una guardia carceraria, Nitti. Li attende una lunga notte che sembra disegnata dal destino.


Ho scaricato Più alto del mare subito dopo aver finito Eva dorme della stessa autrice, la mia prima lettura del 2016. Come spesso accade ho atteso prima di cominciarne la lettura, perché non amo leggere due libri dello stesso autore uno dopo l'altro.  Più alto del mare è stata una piacevole conferma di tutti i pensieri già espressi riguardo la scrittura della Melandri.
Se devo trovargli un difetto, che poi non è tale, è la brevità. Non è tale perché l'opera è perfettamente completa, eppure è talmente coinvolgente che vorremmo che le emozioni si prolungassero ancora per qualche pagina.  Mi è già capitato di piangere alla fine di un libro, ma in questo caso - straordinario - mi sono ritrovata a singhiozzare per tutte le ultime 30 - 40 pagine, completamente in sintonia con le emozioni dei protagonisti.
Il soggetto è sicuramente originale: non mi era mai capitato di leggere un romanzo i cui protagonisti fossero i parenti stretti di due carcerati, e mi ha colpito la delicatezza dell'analisi psicologica delle loro emozioni, così simili e così diverse. Paolo va a trovare suo figlio e Luisa suo marito: se non fosse per questo enorme dolore, non avrebbero niente in comune, ex - insegnante lui e contadin alei. Eppure il dolore li unisce, li spinge ad aprirsi l'uno all'altra, e dà vita a momenti meravigliosi, in cui sono le anime ad amarsi, nel senso più puro del termine.
E poi c'è l'altra "faccia" del carcere, rappresentata dalla figura del secondino, Nitti. Un uomo buono, sfiancato dalla durezza della vita in carcere e sull'Isola. E come accade a Paolo, anche per lui l'incontro con Luisa sarà in un certo senso salvifico.
E poi c'è lei, l'Isola, che non è sfondo ma è protagonista. In tutto il romanzo viene chiamata sempre solo così, senza un cenno al suo nome.
E' l'Isola della Prigione per antonomasia, nella quale sul finire degli anni Settanta vengono rinchiusi i detenuti più pericolosi. E' un'isola bellissima, che viene descritta con toni talmente evocativi che ci sembra di percepirne l'odore: di tanta bellezza i detenuti non possono godere, e ce ne ricordiamo per tutto il corso del romanzo. C'è un contrasto netto, tra la "libertà" della natura e la reclusione. Ma non c'è pietismo per la condizione dei carcerati, come non c'è una condanna diretta da parte dell'autrice: sono loro stessi, le loro vicende e i loro cari, i loro giudici.

Breve e incisivo, consigliatissimo.



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